Vita di Pericle 2 - Civiltà Greca

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Ipponico, a Susa, a cui accenna Erodoto. Perché questi accenni guardinghi, o addirittura misteriosi? Probabilmente perché non si arrivò mai, nella forma, a un compiuto trattato bilaterale. Il re persiano tende a stipulare trattati unilaterali: un accordo che lo impegnava a una tale capitolazione poteva essere soltanto concepito, dalla parte del re, come una intesa de facto. E poiché in realtà nulla accadeva di veramente nuovo sul terreno dei fatti nel 449, Tucidide e lo stesso Erodoto sorvolavano su una soluzione diplomatica, che comunque chiudeva formalmente la seconda guerra attico-persiana.
I Focesi avevano intanto (II guerra sacra) occupato il santuario panellenico di Delfi, che sorgeva nel loro territorio, ma che non si identificava, almeno a cominciare dal VI secolo, con la Focide e i suoi interessi. Gli Spartani intervengono in favore dell’autonomia di Delfi; Pericle restituisce ai Focesi l’amministrazione del santuario. Ancora una volta, una costellazione Atene-Focesi da un lato, Sparta-Delfi dall’altro.
Pericle convoca ora (448 a.C.) come racconta Plutarco, Vita 17, un congresso di tutti i Greci viventi a est del mar Ionio, per decidere 1) della ricostruzione dei templi distrutti dai Persiani e dell’esecuzione dei voti pronunciati durante la guerra; 2) della libertà della navigazione; 3) del mantenimento della pace. È chiaro che Atene vuole esercitare ancora un ruolo panellenico. Pesanti interferenze nei regimi interni delle città alleate si hanno solo in zone molto vicine come l’Eubea; altrove, Atene ha una maggiore duttilità nei confronti dei regimi in atto. In Beozia, dapprima ci devono essere state trasformazioni dei governi in senso democratico, giacché un certo numero di esuli (oligarchi, evidentemente) sono in grado di occupare (nell’inverno 447/ 446) Orcomeno e Cheronea e altre località beotiche, provocando così l’intervento dell’ateniese Tolmide. Questi riesce a espugnare Cheronea, ma nella marcia di rientro, a Coronea, viene attaccato da Beoti esuli da Orcomeno, da Locresi, da esuli euboici e da alleati con le stesse idee politiche. Alla sconfitta segue la liberazione della Beozia dall’interferenza politica ateniese e, forse già allora, la creazione della Lega beotica, meglio attestata per il 395 a.C. nel cap. 16 delle Elleniche di Ossirinco.






Ma già prima della guerra del Peloponneso Pericle conosce un’opposizione di cui si citano almeno tre episodi, cioè tre (se non quattro) processi intentati contro persone del suo entourage (Anassagora, Aspasia, Fidia) e contro Pericle stesso. Non è facile ammettere la parabola descritta da alcuni studiosi (tra questi Beloch), di un Pericle dapprima sfrenato demagogo, esclusivamente al servizio degli interessi delle masse diseredate, che col tempo si sposta su posizioni moderate, e che per questo susciterebbe l’opposizione di gente come Cleone (il demagogo conciapelli, esponente di ceti artigiani emergenti) e però si guadagnerebbe il plauso dei conservatori come lo storico Tucidide.
La politica periclea sembra piuttosto configurarsi come un complesso sistema, che innovò per alcuni aspetti, conservò per altri, e verso cui si fece comunque sentire profondamente un’opposizione conservatrice, quale si esprime, con un alto grado di probabilità, nella Costituzione degli Ateniesi pseudo-senofontea. Naturalmente si poteva anche dare una qualche strumentalizzazione, ad opera di oppositori di parte conservatrice: in questo potrebbe risiedere la genesi delle accuse di empietà (asébeia), rivolte ad Anassagora, il filosofo di Clazomene, teorico del noûs (la mente) come principio universale, amico e maestro di Pericle. A muovere le accuse fu un chresmológos (raccoglitore e interprete di oracoli), degno rappresentante di una religiosità popolare delle più tradizionaliste e retrive: Diopite. Anassagora si sottrasse alla condanna abbandonando Atene e ritirandosi a Lampsaco, in Asia Minore, nella regione, anche se non nella città, da cui proveniva (vi morirà nel 428).
Empietà e prossenetismo, cioè mezzaneria, furono le accuse rivolte alla compagna di Pericle, Aspasia: solo con un’accorta mozione degli affetti Pericle poté salvarla. Allo scultore del Partenone, Fidia, fu mossa l’accusa di essersi appropriato di oro e avorio destinati alla statua della dea Atena: e Fidia morì in carcere ad Atene, prima della condanna (o, come attesta un’altra tradizione, finì invece esule in Elide). Se in tutte queste circostanze il popolo operò, o fu sollecitato ad operare, contro Pericle, non si può affermare che lo facesse per punire un demagogo che nel corso del tempo aveva cambiato politica. La data proposta per tutti questi processi, o piuttosto tentativi di messa sotto accusa, è quella degli anni 433 o 432.






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