Testo 3 - Civiltà Greca

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Strepsiade La… turbìna? Questa non la sapevo: non c’è più Zeus, ma al posto suo governa una turbina! Ma intanto non mi hai spiegato niente, di come scoppia il tuono.
Socrate Non mi hai sentito? Ripeto: le nuvole, piene d’acqua, si scontrano l’una con l’altra, e, gonfie come sono, scoppiano…
Strepsiade E come faccio a crederci?
Socrate Te lo spiego con un esempio, preso da te. Ti è capitato certamente, alla festa della Patrona, di riempirti di brodaglia: poi mali di pancia, uno scombino improvviso la fa brontolare, no?
Strepsiade Sì per Apollo, e che dolori improvvisi: uno sconquasso. La brodaglia fa rumori di tuono, spari tremendi: piano piano da prima, prah prah! Poi incalza: papaprah! Quando caco, finalmente, un vero e proprio tuono: papapaprah! Come loro.
Socrate Attento, allora: con una pancia che appena si vede, fai rumori simili. Tutto l’Aere, che è infinito, non dovrebbe tuonare fortissimo?
Strepsiade È per questo, allora, che tuonare e scoreggiare si somigliano!



Corifea Spettatori, la verità vi dico liberamente, per Dioniso che mi ha cresciuto. Non posso non vincere, risultare il più bravo: credendovi un pubblico intelligente, e questa la migliore delle mie commedie, ho voluto che foste i primi a riassaggiarla. Mi è costata molti sospiri: eppure dovetti cedere, suonato da facchini, non lo meritavo. Di questo mi lamento con voi, che avete cervello: per voi, del resto, mi ero dato attorno. Non vorrei mai deludervi, di proposito, intelligenti come siete. Da quando quel mio Casto Ragazzetto e l’altro, il Pederasta, me li avete accolti benissimo, voi che è un piacere solo a farsi leggere (io, ancora signorina, non avevo diritto di essere madre, e dovetti esporre mio figlio, che un’altra si prese da allevare, e voi l’educaste e istruiste nobilmente), da allora ho con voi un saldo patto di stima. Perciò torna questa mia commedia, come la famosa Elettra: per vedere se incontra questa volta spettatori più intelligenti. Appena lo vede, riconoscerà il ricciolo del fratello. Vi prego di notare il garbo che ha, per sua natura: lei è la prima che non si porta cucito davanti quell’affaraccio di cuoio, rosso in cima, per far ridere i garzoni. Non piglia in giro i calvi, non fa balletti sconci, né il solito vecchio, mentre recita la sua, suona l’altro col bastone, e intanto infila lazzi volgarotti. Non schizza in scena portando fiaccole, non urla da sguaiata: si presenta a voi, solo fidando in se stessa e nei suoi versi. Io, d’altra parte, sono grandissimo poeta e non porto la zazzera, non cerco di imbrogliarvi presentandovi la stessa roba due o tre volte: mi sforzo di offrirvi sempre nuove pensate, che non si assomigliano per niente, tutte fini. Cleone, io l’ho saputo prendere a calci nella pancia, quando era potentissimo: una volta caduto, però, non l’ho più calpestato. Questi altri, appena Ipèrbolo gliene ha dato il destro, gli ballano sopra, poveruomo: senza tregua, a lui e la madre. Ha cominciato Eupoli, che ha trascinato sulla scena il Maricante, rivoltando i nostri Cavalieri, e male, malandrino qual è: per fare puttanate, ci ha aggiunto una vecchia ubriaca, quella che Frìnico una volta inventò che se la mangiava la balena. Poi Ermippo ha scritto un’altra volta contro Iperbolo: allora tutti a prendersela con Ipèrbolo, quel mio paragone con le anguille non fanno che copiarlo.


Chi ride però di questa roba, non si diverta con la mia. Se invece vi piaccio, e così le mie trovate, passerete per persone illuminate, nei secoli dei secoli.
(Entrano in scena i due Discorsi, il Giusto e l’Ingiusto)
DISCORSO GIUSTO: Vi dirò qual era l'antica educazione, quando andavo di moda io che
sostenevo la giustizia, e la temperanza era norma.
Per prima cosa, i ragazzi dovevano stare in silenzio, e camminavano per le strade, in ordine,
tutti quelli di un quartiere, dirigendosi alla casa del maestro; e spogli anche se nevicava fitto.
Il maestro gli insegnava - e dovevano stare fermi, senza accavallare le cosce - canti come
"Atena terribile che distrugge la città" o "Un grido di lontano", mantenendo l'armonia
ereditata dai loro padri. E se qualcuno, per fare lo spiritoso introduceva qualche gorgheggio,
come ora fanno gli allievi di Frinide, si prendeva un sacco di botte per oltraggio alle Muse.
Nell'ora di ginnastica dovevano sedere con le gambe distese, in modo da non mostrare le loro
vergogne agli estranei. Poi, una volta alzati, dovevano aggiustare la sabbia e badare a non
lasciare agli ammiratori tracce della loro giovane bellezza. A quei tempi nessun ragazzo si
ungeva al di sotto dell'ombelico, cosicché i genitali fiorivano di morbida lanugine, come mele
cotogne. E nessuno, modulando languidamente la voce, si permetteva di fare gli occhi dolci
all'amante, facendo il ruffiano di se stesso.
Nei banchetti non ci si poteva accaparrare la testa del ravanello, ne' portar via ai vecchi l'aneto
o il sellino, ne' essere ingordi, ne' sghignazzare tenendo le gambe incrociate.
DISCORSO INGIUSTO: Roba vecchia, come le Dipolie, ricordo dei tempi delle Cicale e delle
Bufonie.
DISCORSO GIUSTO: Eppure fu proprio questa l'educazione che diedi agli eroi di Maratona. Tu,
a quelli d'ora gl'insegni ad avvolgersi nel mantello. Mi fa una rabbia quando li vedo ballare alle
Panatenee, dove, senza riguardo per Atena, agitano lo scudo davanti ai genitali!
Per questo, ragazzo mio, se scegli me, il discorso maggiore, imparerai a odiare la piazza, a
tenerti lontano dai bagni, a vergognarti di ciò cui è giusto vergognarsi, a infuriarti se qualcuno
ti prende in giro, a cedere il posto ai vecchi, a non trattare male i genitori. Insomma, a non fare
niente di male. Sarai il pudore fatto persona. Non correrai dalle ballerine che, mentre stai a
guardarle a bocca aperta, ti buttano una mela e ti rovinano la reputazione. Non risponderai a
tuo padre chiamandolo vecchio Giapeto e rinfacciandogli la tarda età, che ha speso per
allevare te!
DISCORSO INGIUSTO: Se dai retta a questo qui, ragazzo mio, sarai tale e quale ai figli di
Ippocrate, e ti chiameranno "cocco di mamma".
DISCORSO GIUSTO: Sarai splendido e fiorente, e frequenterai le palestre. Non passerai il
tempo chiacchierando di sciocchezze in piazza, come ora si usa, ne' ad occuparti di questioni
fasulle. Invece correrai all'Accademia, sotto gli olivi, coronato di verdi canne, insieme a
compagni perbene, come te, odorando di smilace, di tranquillità, di pioppo bianco; godrai la
































DISCORSO GIUSTO: Eppure fu proprio questa l'educazione che diedi agli eroi di Maratona. Tu,
a quelli d'ora gl'insegni ad avvolgersi nel mantello. Mi fa una rabbia quando li vedo ballare alle
Panatenee, dove, senza riguardo per Atena, agitano lo scudo davanti ai genitali!
Per questo, ragazzo mio, se scegli me, il discorso maggiore, imparerai a odiare la piazza, a
tenerti lontano dai bagni, a vergognarti di ciò cui è giusto vergognarsi, a infuriarti se qualcuno
ti prende in giro, a cedere il posto ai vecchi, a non trattare male i genitori. Insomma, a non fare
niente di male. Sarai il pudore fatto persona. Non correrai dalle ballerine che, mentre stai a
guardarle a bocca aperta, ti buttano una mela e ti rovinano la reputazione. Non risponderai a
tuo padre chiamandolo vecchio Giapeto e rinfacciandogli la tarda età, che ha speso per
allevare te!
DISCORSO INGIUSTO: Se dai retta a questo qui, ragazzo mio, sarai tale e quale ai figli di
Ippocrate, e ti chiameranno "cocco di mamma".
DISCORSO GIUSTO: Sarai splendido e fiorente, e frequenterai le palestre. Non passerai il
tempo chiacchierando di sciocchezze in piazza, come ora si usa, ne' ad occuparti di questioni
fasulle. Invece correrai all'Accademia, sotto gli olivi, coronato di verdi canne, insieme a
compagni perbene, come te, odorando di smilace, di tranquillità, di pioppo bianco; godrai la
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