Aretusa e Alfeo 1 - Civiltà Greca

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Il viaggio sottomarino di un fiume innamorato
Sebbene Eracle lo avesse occasionalmente usato da canale di scolo per acque luride, il fiume Alfeo era uno dei simboli gloriosi di Olimpia. Il destriero Ferenico, vanto delle scuderie di Ierone signore di Siracusa, trionfò nella gara per cavalli montati alle Olimpiadi del 476 a.C.; ed esso è immortalato in una folgorante istantanea di Pindaro (Olimpica 1, vv. 20-22).
Allora lungo l'Alfeo protese il corpo senza sprone nella corsa, e strinse il proprietario alla vittoria.
Ma l'Alfeo aveva anche una leggenda propria ed esclusiva, che raccontava la storia del suo amore - poiché nel mito greco anche i fiumi sono colti da rapinose passioni. Viveva in quelle terre la vergine ninfa Aretusa, dedita alla caccia e restia alle seduzioni dell'eros, come tutte le seguaci di Artemide. Un giorno, stanca e accaldata, giunse alla riva di un limpidissimo corso d'acqua - ed ecco come lei stessa racconta l'inizio della sua avventura, nei versi morbidi di Ovidio (Metamorfosi, 5, vv. 592-603).
Scesi al fiume, e dapprima mi bagnai i piedi, poi le caviglie: ma non mi bastava, e mi tolsi le vesti, ponendole sui rami di un salice.
Mi immergo nuda nell'acqua, e mi lascio portare volgendomi in mille modi e agitando le braccia: ma d'improvviso sento uno strano mormorio sotto i gorghi, e spaventata risalgo sulla riva più vicina.
«Dove corri, Aretusa?» diceva l'Alfeo dalle sue acque.
I poeti celebrano Aretusa e Alfeo

Un’isola, Ortigia giace
sull’oceano nebbioso di contro
a Trinacria, dove la bocca di Alfeo
gorgoglia mescolandosi con le fonti
della vasta Aretusa (Pausania)
Di Grecia volve…..il greco Alfeo
Che del mare or lungi s’alza
E costanti gli effetti e dolci l’acque
Serba tra quelli della amara Tedi…..
Pindemonte (Nei sepolcri)

“…Ti sovvien della bella Doriese
nomata Siracusa nell’effige d’oro?…
Gabriele D’Annunzio(L’Oleandro – Laudi)

“…alpheum fama est huc Elidis
amnem occultas egisse vias subter mare,
qui nunc ore Arethusa tuo siculis
confunditor undis… »
Virgilio (Eneide lib. III 692)
“Una fonte incredibilmente grande, brulicante di pesci,
e così situata che le onde del mare la sommergerebbero
se non fosse protetta da un massiccio muro di pietra”
Cicerone (nelle Verrine)

“Meravigliosa sorgente che s’appella a “An Nabbudi”
(Il nome datole dagli arabi)
Edris (Geografo arabo)

“Grazie ai vostri sforzi noi ci siamo riforniti di viveri ed acqua,
e sicuramente avendo attinto alla Fonte Aretusa,
la vittoria non ci può mancare”
Nelson 22 Luglio del 1798
(Prima di affrontare in battaglia l’armata napoleonica a Aboukir)

“Si deve contemplare il panorama sotto
la luna della Fontana d’Aretusa.
Quello che si sente a Siracusa
è amore per l’Ellade,
la patria di ogni spirito pensoso”
Gregorovius (poeta tedesco dell’800)

“Amor, amor, sussurran l’acque;
a Alfeo chiama nei verdi talami Aretusa”
Giosuè Carducci (Primavere elleniche)

Ovidio: Metamorfosi, V, 577 - 641

Cerere, riavuta con sé la figlia, vuol sapere perché tu, -
Aretusa, sia fuggita e perché tu sia sacra fonte.
Tacciono le onde, dal loro gorgo profondo la dea
leva il capo, strizza con le mani i verdi capelli,
racconta l’antico amore del fiume dell’Elide:
‘Ero una delle ninfe che abitano l’Acaia’ disse,
nessun’altra amava più di me percorrere
i boschi, nessun’altra più di me tendere reti.
Sebbene, pur essendo prestante, non avessi mai cercato la fama di bella, avevo fama di bella.
Un aspetto tanto lodato non mi appagava: le altre
sono solite goderne, io di queste doti fisiche arrossivo, inurbana com’ero, e piacere mi pareva un delitto.
Me ne tornavo, ricordo, spossata dalla selva dello Stinfalo: c’era
afa, e la grande fatica raddoppiava l’afa Ed ecco le acque di un fiume: senza vortici, senza mormorii, trasparenti sino al fondo, vi si poteva contare anche il minimo sassolino, sembravano immobili. Bianchi salici e pioppi nutriti dall’acqua
davano spontanea ombra alle rive declinanti.
Mi accostai, per primi immersi i piedi nell’acqua,
poi fino ai polpacci, non mi basta, mi spoglio,
appendo i molli veli a un salice che sporge,
e nuda m’immergo. Mentre batto e agito l’acqua nuotando qua e là, levando e affondando le braccia,
non so come sento dal gorgo di sotto un bisbiglio: atterrita guadagno il bordo della riva più vicina.
- Dove vai così in fretta, Aretusa? - dice Alfeo dalle
sue onde, - Dove? - ripeteva con voce arrochita.
Così come sono fuggo, svestita: le mie vesti se le tiene l’altra sponda. Tanto più lui arde e m'incalza:
essendo nuda, gli sembro ancora più pronta.
Così io corro, così quel selvaggio m’insegue,
come colombe con trepida ala fuggono il falco,
come il falco insegue le trepide colombe.
Fino a Orcomeno, fino a Psofide e Cillene,
agli abissi del Menalo, al gelido Erimanto, all’Elide riuscii a scappare, e lui non mi acciuffava.
Ma reggere più a lungo la corsa, inferiore di forze,
io non potevo: lui era capace di lunga fatica.
E tuttavia corsi per campi, per monti boscosi,
per rocce e dirupi, sì, per dove non si poteva.
Il sole m’era alle spalle: vidi un’ombra allungarsi davanti ai miei piedi, se non era la paura a vederla.
Ma di certo un rumore di passi mi atterriva,
e un soffio immane mi colpiva la benda che teneva
i capelli. Stanca di fuggire: - Mi prende! - grido,
- Soccorri, Diana, la tua scudiera, cui spesso l’arco
affidasti e le frecce rinchiuse nella faretra! -.
Si commuove la dea, e tolta una nube a un fitto banco,


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