Tucidide - Civiltà Greca

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LA VITA
L’unico dato certo è che nel 424-423 Tucidide è stato stratego. La notizia è fornita da lui stesso nel resoconto della campagna di Brasida in Tracia. È un elemento indicativo per fissare in qualche modo la data di nascita, giacché la strategia in Atene si riveste in genere non prima dei trent’anni, ed anzi già questa è ritenuta una età alquanto precoce, come ad esempio nel caso di Alcibiade. Naturalmente non sappiamo quanti anni avesse Tucidide nel 424, ma possiamo porne la nascita non più tardi del 454. Tucidide ebbe una posizione di spicco nell’ambito dell’aristocrazia agraria ateniese con possedimenti fuori dell’Attica, ed in particolare in una zona che richiama alla mente l’ambiente di Milziade e Cimone.

L’altra notizia autobiografica “riguarda il momento in cui Tucidide intraprese il suo lavoro di storico: «Tucidide Ateniese ha narrato il conflitto dei Peloponnesiaci e degli Ateniesi, incominciando già dai primordi: si risale con tali avvenimenti al 435 circa.
Le notizie relative alla strategia dell’anno 424-423 figurano nel resoconto sull’assedio e resa di Amfipoli nell’inverno di quell’anno. Da quel resoconto si apprende innanzi tutto che, quell’anno, gli strateghi impegnati in Tracia erano due, Tucidide ed Eukles: il primo «si trovava a Taso» nel momento in cui Brasida coglieva di sorpresa Amfipoli cingendone d’assedio la cittadella, il secondo era in Amfipoli con specifiche funzioni di tutela. All’improvviso attacco di Brasida, la popolazione di Amfipoli, colta di sorpresa, si è rifugiata nella cittadella. Su iniziativa di Eukles è stato richiesto con urgenza l’intervento di Tucidide, “che era a Taso con una flottiglia di sette navi. Taso, precisa Tucidide, dista da Amfipoli mezza giornata di navigazione: egli però riuscì a sbarcare ad Eione, porto di Amfipoli, «in quella stessa giornata sul tardi(IV, 106, 3); emerge, così, l’estrema prontezza dell’intervento, se si considera che, ovviamente, anche il messo di Eukles avrà per parte sua impiegato mezza giornata per raggiungere Tucidide a Taso. Ma, nel momento in cui Tucidide raggiunse Eione, Amfipoli si era appena arresa a Brasida. Ed anche Eione sarebbe caduta all’alba, prosegue Tucidide, se non fossero intervenute le navi ateniesi; all’alba infatti Brasida sferrò contro Eione un duplice attacco – dalla parte del fiume e da terra –, ma Tucidide riuscì a respingerlo. Nella campagna del 422-421, condotta da Cleone in Tracia per riconquistare le posizioni perdute, fu Eione la base delle operazioni ateniesi (V, 10 e Diodoro, XII, 73).

Di un esilio ventennale, toccatogli dopo la strategia e trascorso nel Peloponneso, parla l’autore, nel cosiddetto «secondo» proemio (V, 26)
Che l’opera tucididea restasse incompiuta per la improvvisa morte dell’autore è opinione unanime nella tradizione biografica antica e moderna.






IL PENSIERO

In una descrizione della storiografia greca del V secolo la polarità Erodoto-Tucidide finisce col riproporsi.
La differenza sostanziale, sul piano del metodo, consiste invece nella diversa concezione del rapporto con le fonti e nella diversa visione, ancora una volta, della possibilità di costruire infine il racconto vero. Erodoto riferisce versioni correnti o accreditate, nonché il frutto della sua esperienza diretta (l’occhio – dice – è superiore all’orecchio). La sua opera di registrazione di tradizioni e di notizie – che non rifugge neanche da quelle più stravaganti – ha messo in salvo una messe sterminata di materiale preziosissimo: ancora di recente è confermata la notizia da lui fornita dell’esistenza di miniere d’oro non soltanto sulla costa tracia ma anche nell’isola di Taso. “In un notissimo passo del VII libro precisa, dopo aver riferito dell’ambasceria di Argo a Serse e della affettuosa risposta di Serse alla vigilia dell’invasione: «Non ho riferito altro se non quello che su se medesimi riferiscono gli Argivi» e soggiunge: «Io ho il dovere di dire ciò che mi è stato detto, non di crederci (e questo vale per tutto il mio racconto)» (VII, 152).
Il procedimento tucidideo sarà del tutto opposto. Alle spalle del suo racconto vi è un accurato raffronto tra contrastanti testimonianze: raffronto faticoso e delicato di cui Tucidide mena gran vanto nel proemio del suo I libro, quando ricorda la faziosità delle testimonianze proprio dei testimoni oculari (I, 22). “Ciò che, però, egli ci dà è ogni volta il risultato del suo giudizio: un’unica, e per lui definitivamente vera, versione dei fatti. Ci esclude dal suo laboratorio”

Tucidide non viene, come Erodoto, da un mondo che aveva visto imperi ed eserciti immani disfarsi e che aveva trasformato questa secolare esperienza in olimpica saggezza. Il suo orizzonte è ristretto, e tale ristrettezza lo ha anche spinto ad una orgogliosa polemica verso il grande predecessore. Il suo oggetto di analisi è una città, la sua città. Si è venuto persuadendo che la sconfitta di Atene, la fine del suo impero, e soprattutto la sua riduzione a potenza di secondo rango erano state dovute ad una «necessità»: necessità inerente alla dinamica stessa dello scontro tra le grandi potenze, alla nozione stessa, totalizzante, di «dominio», onde l’alleanza diviene egemonia e l’egemonia sopraffazione.”

Egli ritorna insistentemente sulla questione: se l’impero sia di per sé inconciliabile con una morale, e se in particolare l’impero di Atene sia andato in rovina proprio perché fondato e retto – come affermavano i suoi avversari – in antitesi con la legge morale.
La riflessione non è sempre condotta in prima persona – come quando, nel terzo libro, Tucidide considera il nefasto intreccio tra guerra esterna e guerra civile –, ma anche, e forse più spesso, attraverso la parola dei protagonisti principali, gli Ateniesi. Metterli a confronto con la più piccola e la meno agguerrita delle loro vittime – gli abitanti dell’isola di Melo, colpevoli appunto di non essere subalterni ad Atene, quantunque isolani, e dunque pessimo esempio per gli altri isolani e possibile fattore di disgregazione dell’impero – è una soluzione drammatica che può accostarsi a quella erodotea di esprimere il succo dell’intera sua opera mettendo a confronto subito in principio, e contro ogni plausibilità cronologica, Creso e Solone.”






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