Caratteri generali 2 - Civiltà Greca

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ll suo aggregarsi alla spedizione non costituisce solo — come avverrà in Apollonio Rodio — la fuga dalla patria di una donna innamorata che vuole condividere con l’eroe amato i rischi e il futuro destino, ma esprime la partecipazione dell’elemento divino all’impresa più ardita dell’uomo: la conquista del mare. Medea aiuta Giasone perché s’innamora di lui a causa di un incantesimo che la stessa Afrodite insegna all’eroe, ed è proprio da questo spunto che si svilupperà il carattere della Medea di Euripide e di Apollonio: la dea-maga, spogliandosi della sua aura sapienziale, diviene la donna vittima di Afrodite, accesa da una fiamma d’amore che non riesce a dominare e che la trascinerà in tutti i suoi passi, dall’abbandono della casa paterna sino al tragico epilogo della vicenda. Com’è stato osservato, da quel momento Medea sarà sempre esule (dalla Colchide, da Iolco, da Corinto, da Atene), vivendo un continuo peregrinare che può essere letto come allontanamento dal mondo divino a cui appartiene per nascita, ma dal quale la strappa amore, così da restare vittima di una divinità più potente che, da dea qual era, la rende donna.
Medea in Pindaro
La Pitica IV di Pindaro rappresenta il testo più rilevante e la fonte più completa ed estesa dei racconti mitici su Medea e sulla saga degli Argonauti prima della tragedia euripidea. L’ode fu composta, insieme con la successiva, per celebrare la vittoria che Arcesilao IV, discen- dente di Batto e re di Cirene, aveva riportato nella corsa delle quadrighe ai giochi pitici del 462.
Il mito di Medea vi è introdotto subito, in rapporto con la stirpe e con il regno del vincitore dei giochi. Nel racconto di Pindaro, infatti, la protagonista, durante il viaggio di ritorno dalla Colchide, profetizza agli Argonauti, nell’isola di Tera, la futura fondazione di Cirene ad opera di Batto (discendente di Eufemo, uno degli eroi della spedizione), destinato a essere investito di tale missione dall’oracolo di Delfi.

Il racconto inizia con la predizione dell’oracolo che profetizza l’uccisione di Pelia da parte di uno degli Esonidi; in particolare, il re dovrà guardarsi dall’uomo che verrà dai monti portando ai piedi un solo sandalo. Si tratta di Giasone (figlio del legittimo re di Iolco, Esone, detronizzato da Pelia), il quale puntualmente giunge a pretendere il trono, seppure mostrandosi disposto a patteggiare: a Pelia vada la proprietà dei campi e delle greggi, a lui il potere politico. L’usurpatore finge di acconsentire, a patto, però, che Giasone riporti dalla Colchide il vello d’oro, sicché il viaggio ha inizio. Nella seconda parte del racconto il poeta si sofferma poi sulle avventure in Colchide e sulla conquista del vello d’oro, che Giasone porta a termine grazie al sostegno delle arti magiche di Medea, accesa di passione per lo straniero dopo l’intervento di Afrodite. Per lui Medea lascerà il padre e andrà in Grecia, dove aiuterà l’eroe anche a vendicarsi di Pelia.
Successivamente alla tragedia di Euripide, la più importante rielaborazione del mito degli Argonauti e della figura di Medea nella letteratura greca è costituita dal poema epico Argonautiche di Apollonio Rodio, che rappresenta anche l’espressione più rilevante di questo genere letterario nell’età ellenistica.

                                   

Medea: TestoMedea: testo completo
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