Prima guerra persiana 2 - Civiltà Greca

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Prima guerra persiana 2

Storia > Guerre persiane
Il primo tentativo di espansione ateniese
La vittoria di Maratona era stata anche un successo personale di Milziade, che fu accolto in città con grandi onori e seppe convincere i concittadini della necessità di fronteggiare l'inevitabile tentativo di riscossa persiana. Egli avviò dunque un progetto di occupazione delle Cicladi (allora sotto \\ dominio persiano) a partire da Paro: un progetto che aveva finalità militari, ma che prevedeva altresì di sfruttare, dopo la conquista, le risorse economiche delle isole.
Quando l'iniziativa fallì e lo stratego tornò in patria, fu accusato dai suoi nemici politici di aver ingannato il popolo e fu condannato a un'altissima multa, che non riuscì a pagare: Non era trascorso che un anno dal trionfo sui persiani e l'eroe di Maratona, caduto in disgrazia, morì in carcere per i postumi di una ferita riportata nell'assedio di Paro.
Temistocle contro Aristide
Nell'Atene del dopo Maratona, ancora una volta il problema dell'atteggiamento da tenere rispetto ai persiani determinò una spaccatura all'Interno dei gruppi dirigenti. Temistocle era convinto che si dovesse affrontare la minaccia persiana ponendo mano alla costruzione di una grande flotta e a tal fine interpretò con grande abilità a proprio favore (se non fu lui stesso a sollecitarlo) il responso che I o- racolo di Delfi diede agli ateniesi: le oscure parole della sacerdotessa di Apollo - «Atene sarà difesa da mura di legno» - furono intese dallo statista nel senso che la città si sarebbe salvata grazie alle navi. E per la costruzione della flotta, che comportava un consistente investimento economico, Temistocle propose di utilizzare le rendite provenienti dalle miniere del Laurio, nella parte centrale dell'Attica, di proprietà della polis ateniese.
Tutt'altra era la posizione di Aristide: questi chiedeva che i proventi delle miniere d'argento fossero distribuiti ai cittadini, come era accaduto sino a quel momento, ma soprattutto temeva che la politica di Temistocle comportasse una grave alterazione negli equilibri sociali della città. Una flotta, infatti, non è composta solo di navi, ma soprattutto di uomini, e gli equipaggi delle 200 triremi che Temistocle voleva allestire avrebbero richiesto almeno 40000 rematori. Il solo bacino sociale dal quale attingerli era la classe più numerosa e più povera, i teti; e se grazie a loro si fosse ottenuto un successo militare, o se Atene si fosse indirizzata verso una politica di espansione sul mare, questi non si sarebbero lasciati sfuggire l'occasione di chiedere un riconoscimento anche sul piano politico. Ed era ciò che gli aristocratici temevano di più.
La battaglia di Maratona
Avvenne nell'estate del 490 a.C. e costituì un evento di capitale importanza, soprattutto per l'eco immensa che ebbe; essa fu trasfigurata e idealizzata già nel ricordo dei contemporanei e ancor più tra le generazioni successive, acquistando un alone di leggenda e caricatidosi di un immenso valore simbolico.
L'appellativo di "Maratonomaco"diventò uno dei massimi titoli d'onore e il ricordo della tenaglia è vivissimo in molli autori greci:
- Eschilo volle che nel suo epitaffio non fosse ricordata la sua attività di poeta tragico, ma che si facesse invece riferimento alla sua partecipazione alla battaglia di Maratona: “Il suo glorioso valore potrebbero dirlo, perché lo conoscono, il bosco glorioso di Maratona e il Medo dai lunghi capelli'';
- nelle Nuvole di Aristofane (423 a.C.) il Discorso Migliore ricorda con rimpianto e ammirazione la παίδευσις che avevano ricevuto i Maratonomachi (vv. 985-986);
- Platone evidenzia l'importanza morale della vittoria di Maratona ed esalta la gloria dei combattenti: "Sostenendo l'urto dei barbari, fiaccando il loro insolente orgoglio e, per primi, elevando un trofeo sui barbari, si fecero guida e maestri agli altri, insegnando che la potenza persiana non era invincibile e che non v'è supremazia di numero o di ricchezza capace di resistere al valore. Personalmente sostengo che quei valorosi uomini non solo ci furono padri fisicamente, ma lo furono anche della nostra libertà e della libertà di tutti quelli che abitano questo continente“ (Menesseno 239 d-e, trad. F. Adorno);
- l'oratore Isocrate nel suo Panegirico (380 a.C.) esalta l'immenso valore mostrato dagli Ateniesi a Maratona: "Quando i Persiani sbarcarono in Attica, gli Ateniesi non rimasero ad attendere gli alleati, ma, considerando come propria la guerra comune, affrontarono i nemici di tutta la Grecia con le loro sole milizie, pochi contro molte migliaia di uomini, come se mettessero a repentaglio non la propria vita, ma quella altrui“ (cap. 86);
- simili sono le affermazioni dell'oratore Licurgo nell’orazione Contro Leocrate (331 a.C.): “I vostri progenitori morirono non solo per la propria terra, ma per la Grecia tutta, quale patria comune. A Maratona, combattendo contro i barbari, sconfissero un esercito di popoli raccolti da tutta l'Asia e. con rischio proprio, salvarono tutti i Greci... Gesta veramente splendide da ricordare, o Ateniesi, che sono motivo di lode per quelli che le compirono e costituiscono gloria eterna per la città" (cap. 108);
- un famoso quadro, opera di Pànainos, fratello di Fidia e collaboratore di Poiignoto, decorava la Stoà Poikìle di Atene, rappresentando tutto lo svolgimento della battaglia; una sua accurata descrizione si legge in Pausania (I, 15.3).
Gli storici moderni concordano nei valutare l'importanza della battaglia di Maratona. A parere del De Sanctis, che mostra peraltro un eccessivo sciovinismo



"occidentale", a Maratona si ebbe “la prima solenne affermazione di quella superiorità degli Europei sugli Orientali che doveva costituire uno dei tratti più salienti della storia universale" ('Storia dei Greci, voi II, p. 22).
Proprio per l'enorme risonanza dell'evento, può sorprendere la scarna esposizione dei fatti da parte di Erodoto; egli dedica alla narrazione della battaglia soltanto pochi capitoli, in cui, pur manifestando un'indubbia partecipazione emotiva e una sincera ammirazione per i Greci vincitori, non eccede nei toni celebrativi.
È peraltro innegabile che nel racconto erodoteo "la battaglia ha un largo respiro epico e contemporaneamente un tratto descrittivo sicuro" (G. Paduano, Antologia della letteratura greca, voi. Il, p. 1335).

Milziade
Uomo politico e generale appartenente alla nobile gente ateniese dei Filaidi, nacque intorno al 540 a.C. Si trovava in Atene in buone relazioni coi Pisistratidi, quando, morto il fratello Stesagora, che dominava nel Chersoneso Tracio, dov'era succeduto al fondatore di quel principato ateniese, lo zio Milziade I, fratello uterino di Cimone Coalemo, fu inviato dai Pisistratidi con una trireme a prenderne il posto. La data è incerta. Sappiamo solo che fu posteriore non di molto alla morte di Pisistrato (527- 26) e a quella di Cimone, e che questi vinse ancora nei giochi olimpici del 524. Milziade cominciò la sua signoria imprigionando tutti i signorotti del Chersoneso che erano venuti da lui per condolersi della morte del fratello, e dandosi una guardia di cinquecento mercenari. Probabilmente poco prima della spedizione scitica di Dario egli fece, come altri dinasti greci di quella regione e in particolare quello di Bisanzio, la sua sottomissione ai Persiani. Durante la spedizione scitica si narra ch'egli consigliasse ai suoi colleghi di rompere il ponte di navi, con cui Dario aveva allacciato le sponde del Danubio, e che il consiglio fosse respinto per l'opposizione di Istieo, tiranno di Mileto. Ma questa è probabilmente invenzione posteriore. Comunque, sappiamo da Erodoto che Milziade fuggì dal Chersoneso per la minaccia di un'incursione scitica e che vi tornò più tardi, ricondotto dagli indigeni Dolonici. La notizia in questi termini è sospetta, perché le incursioni scitiche difficilmente potevano mettere in pericolo le città fortificate della penisola. Milziade forse per la sua potenza divenne sospetto ai Persiani, come Istieo, o forse i Persiani lo costrinsero a liberare i "tirannelli" delle piccole città, e questi gli si ribellarono. Tornò probabilmente col favore dell'insurrezione ionica contro la Persia, e forse allora occupò Lemno e Imbro, che, popolate da barbari cui i Greci davano nome di Tirreni, erano state da Dario, dopo la spedizione scitica, incorporate al suo impero. Egli cacciò i barbari e popolò le due isole di coloni ateniesi. Questi coloni erano iscritti nelle tribù e nei demi dell’ordinamento clistenico, e ciò sembra dimostrare che la colonizzazione è posteriore alle riforme di Clistene, e non può quindi riferirsi che agli anni dell'insurrezione ionica. Dopo la sconfitta degli Ioni nella battaglia di Lade (494), l'appressarsi della flotta fenicia costrinse Milziade alla fuga.
Egli abbandonò il Chersoneso, imbarcandosi con la famiglia e i tesori su 5 triremi; una di esse col figlio di primo letto, Metioco, cadde in mano dei barbari. Con le altre quattro Milziade si rifugiò in Atene, dove i partigiani degli Alcmeonidi, che allora dominavano e temevano in lui un rivale, lo trassero in giudizio dinanzi al popolo sotto l'accusa di tirannide. L'accusa si riferiva alla sua condotta nel Chersoneso ed era destituita d'ogni fondamento giuridico. D'altronde la potenza degli Alcmeonidi declinava. A essi s'imputavano giustamente il mancato soccorso agli Ioni e i cattivi successi della guerra contro Egina. Forse con questo declinare della potenza degli Alcmeonidi si collega la tregua con Egina e l'adesione di Atene alla lega peloponnesiaca: vi si collega anche la nomina di Milziade a stratego per l'anno attico 490-89, dovuta alla fiducia che si aveva nella sua sagacia e nel suo valore, quando si seppe dei preparativi della Persia per una spedizione punitiva contro Eretria e Atene.
La spedizione, grazie a Milziade e agli opliti ateniesi, terminò con la totale rotta degl'invasori a Maratona. Vinto, ma non disanimato, il comandante persiano Dati, imbarcato l'esercito e preso il largo con la flotta, doppiò il capo Sunio e navigò verso il Falero nella speranza di sorprendere Atene impreparata e indifesa.



Milziade peraltro, presago del pericolo, immediatamente dopo la vittoria, aveva ricondotto i suoi opliti con una marcia forzata presso la città. Sicché, mancata la sorpresa, a Dati non rimase che riprendere la via dell'Asia. Milziade volle approfittare della vittoria per cacciare i Persiani dalle Cicladi, e, come aveva ottenuto dal popolo il famoso decreto per affrontare il nemico a Maratona, così ottenne d'essere messo a capo di una spedizione navale. Ma la spedizione non sortì buon esito: le forze navali degli Ateniesi erano scarse, l'arte degli assedi era allora assai imperfetta; Paro, che egli aveva cercato di occupare per sorpresa o per tradimento, resistette, ed egli, disperando di prenderla a forza, scarseggiando di mezzi ed essendo anche rimasto ferito, tornò senza aver ottenuto alcun successo. Di qui uno scoppio d'ira popolare contro di lui. Un partigiano degli Alcmeonidi, Santippo, il padre di Pericle, lo stesso che lo aveva accusato di tirannide, lo accusò ora di avere ingannato il popolo. Milziade fu condannato a un'ammenda di 50 talenti e morì poco dopo di cancrena senza averla potuta pagare. Lasciò, oltre il figlio Metioco, che era prigioniero in Persia, una figlia dello stesso letto Elpinice, e un altro figlio Cimone, natogli da una principessa tracia Egesipile, figlia di Oloro. La tradizione su Milziade è troppo scarsa e in parte alterata perché possiamo formarci della sua personalità un concetto così preciso e sicuro, come di quelle di Temistocle o di Pericle. Fu certo politico e stratego geniale e audace; collaborò come pochi alla grandezza di Atene. Le notizie sui motivi piccini della sua ultima campagna sono probabilmente fallaci. Ma certo egli non è degli uomini politici la cui vita s'inserisce interamente in quella della loro polis, come appunto Cimone o Pericle; e per questo lato, più che a essi è da raccostare ai suoi grandi contemporanei ionici, come Istieo o Aristagora.

Callimaco di Afidna
Polemarco ateniese dell'anno 490-89 a.C. Secondo Erodoto (VI, 109-111), sostanzialmente attendibile, nel consiglio di guerra tenuto prima della battaglia di Maratona (agosto 490), essendosi cinque dei dieci strateghi pronunziati contro la proposta di attaccare il nemico, fatta da Milziade, Callimaco, in un primo momento incerto sul da farsi poi persuaso dallo stesso Milziade, votò in suo favore, assicurandogli la maggioranza. Alcuni storici dubitano che il discorso di Milziade riferito da Erodoto corrisponda esattamente a quello pronunciato veramente, almeno in alcune sue parti, che sembrano aggiunte a beneficio del lettore. Nella battaglia, il polemarco tenne con la sua tribù il posto d'onore all'ala destra, combatté con grande coraggio e morì nel combattimento presso le navi persiane; secondo Plutarco l'avrebbero trafitto talmente tante lance che, pur morto, sarebbe rimasto ritto in piedi. In ricordo della sua morte eroica venne eretta una statua in suo onore detta Nike di Callimaco. La statua, situata accanto al Partenone (non il Partenone che possiamo vedere oggi, ma il vecchio Partenone distrutto dai persiani) sull'Acropoli di Atene e distrutta nel 480-479 a.C. durante il saccheggio persiano di Atene, consisteva in una colonna sormontata da una figura femminile alata, Iride o Nike.

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